Cosa sappiamo del Referendum?

95047.it Il prossimo 4 dicembre gli italiani saranno chiamati ad esprimere il proprio voto sulla riforma costituzionale promossa dal governo Renzi. I cittadini dovranno decidere con un SÌ o con un NO se approvare le modifiche alla nostra Costituzione previste dal ddl Boschi. La riforma è già stata approvata dal nostro Parlamento, ma potrà entrare in vigore solo se il referendum confermativo avrà esito positivo. Ricordiamo che per questo tipo di consultazione non è previsto alcun tipo di quorum: qualunque sarà l’affluenza alle urne, il risultato sancirà il futuro della nostra carta costituzionale. In un dibattito inquinato da interessi di parte e di partito, propaganda spiccia e retorica stucchevole, cerchiamo di andare al cuore della proposta per capire in cosa potrebbe migliorare il sistema italiano e in cosa no. Per farlo vi proponiamo cinque motivi per cui votare SÌ al referendum ed altri cinque motivi per cui invece potreste votare NO.

Referendum costituzionale: i motivi del SÌ

1) Superamento del bicameralismo perfetto
Col sistema attuale, il nostro Parlamento è formato da Camera e Senato entrambe coi medesimi poteri di modifica delle leggi e sfiducia verso il governo. Con la riforma, il Senato subirebbe una vera e propria rivoluzione. Dagli odierni 315 eletti direttamente dai cittadini, si passerebbe a solo 100 rappresentati eletti in maniera indiretta, con funzioni molto limitate rispetto ad oggi.

• Il Senato discuterà e voterà assieme alla Camera solo le leggi che riguardano i rapporti tra Stato, Unione Europea e territorio, oltre che su leggi costituzionali, revisioni della Costituzione, leggi sui referendum popolari, leggi elettorali, leggi sulla Pubblica Amministrazione, leggi su organi di governo e sulle funzioni di Comuni e Città Metropolitane.
• Per quanto riguarda le altre leggi ordinarie, il Senato può chiedere alla Camera la revisione di una legge entro 10 giorni dalla sua presentazione, su richiesta di 1/3 dei suoi componenti. La Camera può decidere di non accogliere le modifiche proposte e andare alla votazione finale senza ascoltare il Senato. Le eventuali modifiche proposte alle leggi di bilancio o su leggi riguardanti competenze che vengono assegnate esclusivamente alle Regioni, possono essere ignorate dalla Camera solo se viene superata nella votazione la maggioranza assoluta.
• I senatori possono presentare disegni di legge alla Camera solo se il Senato appoggia la proposta a maggioranza assoluta.

L’intento più volte dichiarato dal governo è quello di trasformare il Senato in una “Camera delle Regioni” e cercare di velocizzare l’iter legislativo garantendo più poteri alla Camera dei Deputati.

2) Abolizione degli organi costituzionali superflui
Con la riforma viene abolito il Consiglio Nazionale dell’Economia del Lavoro (CNEL). Nel testo costituzionale attuale, il CNEL ha potere di proposta legislativa sui temi legati all’economia ed al lavoro ma nella storia italiana non ha mai inciso in maniera rilevante nell’iter legislativo. Le funzioni per cui era stato pensato dai padri costituenti sono ormai prerogativa di altre istituzioni e la sua abolizione permetterà di risparmiare diversi milioni all’anno. Sulla stessa linea di principio, verranno abolite del tutto anche le Province e le loro funzioni saranno spartite fra Comuni e Città Metropolitane.

3) Leggi di iniziativa popolare e partecipazione
La riforma prevede nuove modalità per le leggi proposte dai cittadini: per presentare un ddl di iniziativa popolare in Parlamento saranno necessarie 150.000 firme (contro le 50.000 attuali), ma vi sarà la garanzia costituzionale che queste dovranno essere discusse e votate in Parlamento. Viene anche introdotto un nuovo tipo di referendum: il referendum “propositivo” o “di indirizzo” permetterà ai cittadini di richiedere al Parlamento di emanare una nuova legge su un particolare tema. Questo tipo di consultazione esiste già in Valle d’Aosta e nella provincia di Bolzano, ma è la prima volta che viene proposto anche su scala nazionale.

4) Riduzione dei parlamentari e taglio dei costi
Come già evidenziato, il Senato non conterà più 315 membri eletti direttamente dai cittadini ma sarà composto da soli 100 membri: 74 verranno nominati all’interno dei vari Consigli Regionali con un metodo proporzionale in base alla popolazione e ai voti presi dai partiti, mentre 21 saranno scelti dagli stessi Consigli Regionali fra i sindaci della Regione (ogni regione avrà un sindaco in rappresentanza, mentre il Trentino Alto Adige ne avrà due). Ogni senatore ricoprirà la propria carica per tutta la durata del suo mandato amministrativo e non riceverà alcun compenso per la sua attività parlamentare. I 5 senatori rimanenti verranno nominati dal Presidente della Repubblica e rimarranno in carica per sette anni. La carica di Senatore a Vita rimarrà in vigore solo per gli ex-Presidenti della Repubblica e per coloro che già la ricoprono.

5) Stabilità del governo
Il Senato non avrà più il potere di sfiduciare il governo in carica, ma questo potere rimarrà prerogativa della Camera dei Deputati. Grazie soprattutto all’Italicum, la nuova composizione della Camera garantirà alla coalizione vincitrice un numero adeguato di deputati per formare un governo stabile e duraturo. Sono previsti anche limiti precisi che l’esecutivo dovrà seguire per l’emissione di decreti legge, strumento legislativo di cui i governi hanno da sempre abusato per attuare i propri programmi.

Referendum costituzionale: i motivi del NO

1) Il nuovo Senato
La principale accusa che viene mossa al nuovo Senato riguarda le competenze che esso dovrebbe condividere con la Camera dei Deputati: nella riforma sono specificati gli ambiti in cui le due Camere hanno di potere legislativo concorrenziale, ma non vengono indicati i criteri con cui riconoscere le leggi che rientrano in queste fattispecie. È probabile che verranno sollevati numerosi dubbi di competenza e che quindi le leggi debbano essere studiate caso per caso per capire se includono prerogative affidate al Senato. Questo rischia di rallentare di molto l’iter legislativo entrando in netto contrasto con l’intenzione primaria della riforma. Inoltre, diversi costituzionalisti criticano il fatto di aver ridotto troppo i poteri del Senato, rendendolo inutile come vero “raccordo” tra Stato e amministrazioni locali e denunciano il rischio di trasformare i senatori in “rappresentanti della maggioranza al potere nella singola regione, più che della regione in quanto tale”, viste le modalità di nomina. Forti polemiche si sono sollevate anche per il mantenimento dell’immunità parlamentare per i nuovi senatori.

2) Governo “autocratico”
Il governo avrà la facoltà di richiedere al Parlamento una “via preferenziale” per l’approvazione delle leggi ritenute necessarie per l’attuazione del proprio programma. La Camera avrà tempo 5 giorni per accogliere la richiesta e, se venisse accolta, 70 per approvarla con massimo 15 giorni di rinvio. Questa formula non potrà essere applicata alle leggi di competenza del Senato, alle leggi elettorali, alla ratifica di trattati internazionali, alle leggi di amnistia e indulto e alle leggi di bilancio. Dati i numeri garantiti alla maggioranza dalla legge elettorale attuale, l’Italicum, secondo alcuni con questa formula vi è un forte sbilanciamento di potere verso l’esecutivo, il quale può far velocemente approvare i propri disegni di legge senza un’adeguata discussione nella Camera. Alcuni costituzionalisti sono arrivati addirittura a delineare il rischio di un governo “autocratico”, che detta le proprie priorità ad un Parlamento incapace di controllare in maniera adeguata il suo operato.

3) Riforma Titolo V e caos competenze
La riforma Titolo V è sicuramente uno degli aspetti più dibattuti e difficili da comprendere per chi non ha nozioni di diritto costituzionale. Vengono ridefinite diverse competenze prima esclusive delle Regione che, post-riforma, tornerebbero in mano allo Stato. In particolare:

• Viene cancellata la definizione di “competenza concorrente” fra Stato e Regione, con le diverse materie ridistribuite fra le due istituzioni.
• Viene introdotta la nuova “clausola di supremazia”, che permette allo Stato di intervenire sulle questioni di competenza non “esclusiva” delle Regioni nei casi in cui è necessario un intervento per l’unità giuridica/economica dello Stato, o di più generico “interesse nazionale”.
• Viene introdotto anche il cosiddetto “regionalismo differenziato”, grazie al quale alle Regioni non a Statuto Speciale possono essere attribuite particolari forme di autonomia, a condizione che presentino un bilancio in equilibrio. L’attribuzione del regionalismo differenziato dev’essere approvata da Camera e Senato ed è inoltre richiesto un dialogo tra Stato e Regione interessata.

In linea generale vi è quindi un forte accentramento di potere nelle mani dello Stato. Scenario decisamente opposto rispetto alla situazione attuale. In una lettera aperta al governo inviata lo scorso aprile, 56 costituzionalisti hanno anche evidenziato la possibilità che si verifichi un forte rischio di confusione legislativa: con questa revisione del Titolo V, la procedura legislativa andrà a complicarsi in quanto prevederà “leggi bicamerali, leggi monocamerali ma con possibilità di emendamenti da parte del Senato, differenziate a seconda che tali emendamenti possano essere respinti dalla Camera a maggioranza semplice o a maggioranza assoluta”. Un caos di leggi decisamente in controtendenza con le aspettative di semplificazione e velocizzazione degli iter legislativi.

4) Criticità di forma
Nella stessa lettera citata nel punto precedente, i 56 costituzionalisti criticano la riforma in maniera formale e sostanziale, soffermandosi anche sulle modalità di approvazione oltre che nel mero contenuto: la riforma costituzionale è stata approvata con una maggioranza risicatissima al Senato, segno di non essere espressione di una volontà politica condivisa di cambiamento. A queste osservazioni di forma, si aggiungono anche quelle promosse dai vari comitati del NO: la riforma non è scritta in maniera corretta e lascia troppa libertà di interpretazione nell’attuazione sia legislativa che nel regolamento delle due Camere; non è frutto della volontà autonoma dell’organo legislativo ma è stata voluta, imposta ed approvata dal Parlamento sotto forte pressione del governo; inoltre, secondo i più critici, l’intera riforma costituzionale è illegittima in quanto prodotta da un Parlamento eletto nella sua interezza da una legge elettorale dichiarata incostituzionale (il Porcellum).

5) Volontà politica: ovvero far cadere il governo Renzi
Anche se questo punto non è legato strettamente al merito della riforma costituzionale, è innegabile che a spingere in molti a votare per il NO ci sia una forte volontà politica per far cadere il governo Renzi. È difficile prevedere come Renzi gestirebbe una potenziale vittoria del NO ma è certo che se effettivamente i cittadini non riconoscessero legittimo uno dei principali punti del programma di governo, i rappresentanti in Parlamento non potrebbero ignorare il significato politico del risultato. Con la dovuta pressione delle opposizioni, si aprirebbero la possibilità di presentare una mozione di sfiducia per la quale il governo rischia di non trovare più i numeri.

[Da lenius.it]