#siamotuttiqè

95047.it Era aprile 2015 quando ai lavoratori Qè fu detto che “erano in troppi” e per evitare i licenziamenti collettivi l’azienda avrebbe dovuto collocare i lavoratori in cassa integrazione. Non fu chiaro, però, quale fosse la vera criticità.
Dopo qualche mese, centinaia di operatori Sky furono messi alla porta. Lo sfratto di una delle due sedi del Qè arrivò sui Cocopro come una doccia fredda.
Ad aprile 2016 finì la Cassa integrazione e a maggio cominciarono i Contratti di solidarietà per evitare il licenziamento di 90 esuberi. Un anno di ammortizzatori sociali non era bastato a ripianare i conti del Qè. Ma i sindacati Slc CGIL e Fistel Cisl non fecero in tempo a firmare l’accordo di solidarietà che una brutta notizia, pesante come un macigno investì i lavoratori. “La proprietà non può più pagare gli stipendi, si sta cercando una soluzione” – fu detto. Intanto era venuta a galla una situazione debitoria fuori dal normale, un buco di 6,5 milioni di euro, una proprietà per niente cristallina, celata dietro una struttura a scatole cinesi, l’ennesimo caso di mala gestione.

Il 6 luglio 2016 i lavoratori in sciopero, supportati dai sindacati scesero in piazza per la prima manifestazione di protesta formulando al sindaco di Paternò la richiesta di apertura di un tavolo di crisi presso la Prefettura che ottennero il 15 luglio dove si vagliò la possibilità di un eventuale affitto d’azienda. Per il 29 luglio il sindaco convocò nei propri uffici i sindacati, la proprietà bresciana e alcune aziende leader nel settore dei call center per vagliare la proposta di cessione di azienda. Ma i probabili interessati decisero di rivedersi il 23 agosto. Non tutte le società, però, si presentarono all’incontro successivo. Più il tempo passava, più le aziende continuavano a defilarsi. L’ultimo incontro dinanzi al prefetto lo si ebbe il 12 settembre. Ma non c’era più niente da fare, nessuna proposta arrivò sul tavolo del prefetto, nessun interesse a quelle condizioni. Per i lavoratori, che fino a quel momento avevano continuato a lavorare, a “produrre”, nonostante in arretrato di oltre tre mensilità, non c’era più nulla da fare. In quelle condizioni non si poteva più andare avanti. Transcom World Wilde, la società che gestisce la commessa INPS e che in questi anni ne ha dato in subappalto una fetta a Qè, data la grave situazione, decide di  sospendere il servizio. Ai lavoratori non resta che dichiarare lo sciopero a oltranza fino al fallimento dell’azienda.  Intanto rimasti nel limbo, senza soldi e senza ammortizzatori sociali, il 23 settembre i lavoratori portano la loro protesta a Catania. Un corteo di centinaia e centinaia di lavoratori manifesta contro la scellerata gestione aziendale, dirigendosi all’Esa (il palazzo del governo siciliano), dove ad attenderli c’è un funzionario dell’ufficio di Gabinetto della Presidenza della Regione.
In quell’occasione una delegazione di lavoratori e sindacalisti ottiene un incontro con l’assessore regionale alle Attività Produttive Mariella Lo Bello.

Nel frattempo, il 28 settembre, la grave situazione del call center Qè è portata anche sul tavolo della Commissione Lavoro alla Camera. Da Montecitorio i sindacalisti tornano con l’impegno da parte del presidente della Commissione Lavoro, Cesare Damiano, a sollecitare un tavolo al Mise con il coinvolgimento delle quattro committenti. Anche da Palermo ampia disponibilità per la vertenza dei lavoratori del Qè: dopo l’incontro del 30 settembre, la Regione è disposta a fare da garante della grave situazione di 600 lavoratori, onde evitare, appunto, un’emorragia occupazionale. In Attesa del tavolo al Mise, il 3 ottobre i lavoratori si recano in azienda e trovano i cancelli della sede di Tre Fontane sbarrati. Dopo che le forze dell’ordine sono venute a constatare la situazione, i sindacati denunciano alla Direzione territoriale del lavoro quanto è accaduto. Il 10 ottobre la Dtl convoca sindacati e proprietà che, però, non si presenta inviando una nota con il solo intento di scaricare le proprie responsabilità.

La situazione resta allarmante.
I debiti societari aumentano vertiginosamente, i dipendenti ormai da quattro mesi all’asciutto, la sede dell’azienda chiusa.  
Il 13 ottobre gran parte dei lavoratori si riuniscono presso la biblioteca comunale di Paternò per firmare la fine di una società che fino a questo momento li ha lasciati nelle sabbie mobili costringendoli a  rimanere senza stipendio e senza ammortizzatori. Cosí,  supportati dal sindacato Slc Cgil e dall’avvocato Carlo Paratore danno il via alla richiesta di fallimento della società bresciana.
Il 14 ottobre i lavoratori del Qè tornano a far sentire la propria voce manifestando davanti le sedi catanesi di Enel e Wind (due delle commesse dell’ormai ex Qè). Nel frattempo il sindaco di Paternò, Mauro Mangano, ha chiesto alla Regione l’apertura di un tavolo tecnico per aprire un dialogo con nuovi imprenditori. Nella richiesta del sindaco figura il nome dell’imprenditore paternese Franz Di Bella, titolare dei locali dell’azienda QÉ.
E intanto sale a 24 il numero dei lavoratori costretti a dare le dimissioni.

È una settimana importante quella che è appena entrata.
Aspettiamo di conoscere la data del tavolo tecnico alla Regione ma sopratutto di conoscerne l’esito.
L’attesa è sicuramente snervante ma non ci rimane che attendere.
Le nostre battaglie le abbiamo fatte e siamo disposti a farne altre, tutti uniti con un unico obiettivo: quello di veder rifiorire la “propria” azienda, fatta di padri e madri di famiglia, monoreddito e non, di single, di studenti, di lavoratori disabili, ognuno con la propria storia; di chi ci ha creduto fino alla fine e di chi crede ancora che questa sia soltanto la fine di un brutto capitolo e che lottando tutti insieme si può arrivare a riscrivere una nuova storia.
#SIAMOTUTTIQE’