Un mese dopo l’inferno

95047.it Esattamente un mese fa. Esattamente un mese da quella maledetta sera del 7 ottobre, quando fu l’inferno. Un girone dantesco del quale restano le lacrime. Il dolore. Il sangue. E quella dignità ferma ma, purtroppo, inconsolabile dei genitori di quattro ragazzi gioiosi. Valentina, Gianluca, Giuseppe e Antonio non ci sono più da un mese. La sciagura di via Unità d’Italia rischia di essere lavata via dal modo forsennato col quale conduciamo i nostri giorni: con quel non volersi fermare davanti a nulla e a niente perchè dobbiamo correre. Perchè non possiamo rallentare l’impeto delle nostre vite affaccendate. Perchè viviamo un’epoca dove tutto è smart: e si deve andare avanti nel senso più cinico e medievale del termine.

Eppure, nelle nostre teste ci si sarebbe dovuti fermare. Bloccarci per capire se possa essere evitato il ripetersi di sciagure del genere. Bloccarci per capire se sia possibile un esame di coscienza civico e collettivo verso quel vivere le nostre strade in modo barbaro e violento.

Camminare per le vie della nostra Paternò (certo, ovviamente, non solo) è un film quotidiano di automobilisti che conducono sistematiche discussioni col telefonino incollato all’orecchio mentre si sfreccia col piede sull’acceleratore. C’è un occhio piantato sullo smartphone perchè quell’sms o quel whatsApp devi mandarlo proprio per forza e l’altro diviso a metà tra il tuo mondo e quella strada e quelle persone che hai davanti. Mentre sei al volante hai la notifica di Facebook alla quale devi dare conto e devi rispondere con la tua emoticon: “Ke fai? Sei mitiko”. E ci sono anche quelli che, rigorosamente, senza casco compiono piroette alla Star Wars. Che rischiano di travolgere due o anche tre pedoni: ma anche stavolta è andata bene, non è successo niente. E menomale che non mi hanno beccato perchè sono senza assicurazione. Gli stessi che poi fanno la morale: “Ma cchi paisi persu”.

E, poi, ci sono anche i copritombini che mancano: li hanno rubati e non ci sono i soldi. E, allora, si possono attendere anche mesi, anni: una Paternò che è diventata la città dalle 100 (e passa) transenne. Garantire la sicurezza per le strade dovrebbe essere l’urgenza: da stato di calamità naturale. E’ dura da ammettere: ma non rientra affatto tra le priorità dei nostri governanti.
Siamo a tutto questo.

Ecco, perchè la verità è che la lezione della tragedia di un mese in fondo fa ci lasciati tuttosommato come siamo. Perchè indipendentemente da quelli che saranno i possibili risvolti giudiziari o della esatta dinamica e ricostruzione di quella maledetta sera, abbiamo ridotto le nostre vite ad una roulette russa dove “questa volta è capitato a te ed a me non potrà mai accadere”.
Eppure non può proprio andare così. Valentina, Gianluca, Giuseppe e Antonio non ci sono più da un mese. La nostra città è più vuota. E, più che mai, è uno svuotamento che non è solo fisico. Quella maledetta sera ognuno di noi ha perso un proprio figlio.
Ciao ragazzi.