Dia, la relazione che racconta la ramificazione della mafia in provincia di Catania

95047.it Una relazione dettagliatissima di 290 pagine. E’ quella che la Direzione Investigativa Antimafia ha reso pubblica proprio in queste ore. Dalla Valle d’Aosta alla Sicilia. Provincia di Catania compresa. Di seguito, un lungo stralcio che spiega gli affari di cosa nostra.

Il panorama criminale catanese condiziona l’intera parte orientale dell’Isola, alcuni centri dell’ennese e della zona peloritana – nebroidea, risultando organizzato su tre livelli:
– il primo, più strutturato, è contrassegnato principalmente da componenti delle famiglie di cosa nostra di Catania
e provincia (SANTAPAOLA e MAZZEI) e di Caltagirone (LA ROCCA);
– il secondo, meno evoluto ma non meno pericoloso, è costituito da
clan, in ogni modo fortemente organizzati e storicamente presenti sul territorio, quali i CAPPELLO-BONACCORSI e i LAUDANI, quest’ultimo sempre particolarmente in fermento;
– il terzo è costituito da pochi elementi, facenti parte dei disarticolati clan PILLERA, SCIUTO, CURSOTI, PIACENTI, NICOTRA, di fatto quasi completamente assorbiti dal clan CAPPELLO-BONACCORSI.
Sebbene la struttura organizzativa dei clan del territorio sia soggetta a continue riorganizzazioni, dovute alla conflittualità insita ai vari gruppi ed all’azione di contrasto, permangono condizioni di non belligeranza tra i principali schieramenti, frutto di condivise politiche di spartizione del territorio, di accordi affaristici e di alleanze prodromiche a disegni criminali convergenti.

Nell’ambito di tali dinamiche, non di rado si registra, per mero calcolo opportunistico, il passaggio di alcuni affiliati da determinate consorterie ad altre, rendendo fluida la composizione delle organizzazioni.
Al riguardo, in seguito ad una complessa attività investigativa, il 15 luglio 2015, personale del Centro Operativo di Catania ha tratto in arresto un latitante, gravato da precedenti per associazione a delinquere di stampo mafioso, traffico di stupefacenti ed armi. Il medesimo, che in passato aveva subito diversi attentati ad opera di avverse organizzazioni criminali etnee, dal 1982 al 1991 ha militato nel clan PILLERA-CAPPELLO, per poi passare sotto l’egida del clan CURSOTI.

Proseguendo nella descrizione delle dinamiche della provincia, rispetto alla generale situazione di “calma apparente”, l’area compresa tra i Comuni di Adrano, Paternò e Biancavilla esprime una maggiore turbolenza, dovuta alle storiche frizioni interne al clan TOSCANO-MAZZAGLIA, alleato della famiglia mafiosa SANTAPAOLA-ERCOLANO, di recente confermate dalle risultanze di un’operazione antidroga.
In tale contesto potrebbe collocarsi il tentato omicidio, verificatosi a Biancavilla il 15 luglio 2015, ai danni di un soggetto ritenuto affiliato, tramite un clan locale, alla famiglia dei SANTAPAOLA–ERCOLANO.
Passando alla descrizione delle strategie affaristico-mafiose delle organizzazioni criminali etnee, si profila la tendenza a mantenere una condotta di “inabissamento”, certamente funzionale ad evitare situazioni di allarme sociale che potrebbero aumentare il livello di attenzione delle Istituzioni e delle Forze dell’ordine.Tale atteggiamento si traduce, non a caso, in una “politica” di presenza sul territorio che privilegia innanzitutto il reinvestimento e il riciclaggio dei capitali illeciti, attraverso una “mimesi” imprenditoriale e la conseguente infiltrazione nell’economia legale.

La propensione è quella di colonizzare qualsiasi aspetto della vita economica e sociale, per ricavarne profitti, prestigio e il riconoscimento pubblico di cui, soprattutto gli elementi di spicco, non accennano a rinunciare per affermarsi sul territorio: a Paternò in occasione dei festeggiamenti per la ricorrenza patronale di Santa Barbara, il 2 dicembre 2015 uno dei carri votivi si è esibito in un inchino di fronte alla casa di un noto capomafia esponente locale della famiglia di area santapaoliana. In linea generale, in Sicilia orientale cosa nostra si sarebbe spogliata del monopolio delle attività criminali di basso profilo, limitandosi a gestire interessi di portata strategica, tendendo così ad assumere la connotazione di una impresa criminale “elitaria”.
In particolare, riserverebbe per sé la manipolazione degli appalti pubblici, la gestione delle sale scommesse e il controllo della catena logistica nel settore dei trasporti (soprattutto su gomma), delle reti di vendita, delle energie alternative e dell’edilizia. Con particolare riferimento a quest’ultimo, le indagini patrimoniali effettuate dal personale D.I.A. nel semestre in esame, nei confronti di un elemento di spicco della famiglia SANTAPAOLA-ERCOLANO, hanno portato al sequestro di beni mobili, immobili, disponibilità finanziarie e varie società del settore edile, per un valore complessivo di oltre 2 milioni di euro, cui va ad aggiungersi la confisca di beni, per 9 milioni di euro, operata nei confronti di altri due importanti affiliati alla medesima famiglia.

 Al pari delle altre province, cosa nostra catanese sta facendo registrare una forte propensione nella gestione del traffico degli stupefacenti, anche attraverso nuove forme di collaborazione.

In proposito, recenti investigazioni hanno fatto emergere come i sodali di clan e famiglie mafiose diverse, pur ripartendosi le piazze di spaccio, avrebbero talvolta fatto confluire i proventi delle illecite attività in una stessa “cassa comune”. Ulteriori operazioni antidroga, condotte sempre nel semestre, hanno messo in luce lo stretto rapporto esistente tra
un gruppo criminale catanese, riconducibile al clan PILLERA, ed albanesi, finalizzato all’approvvigionamento di marijuana.
E’ emerso, infatti, che i malviventi stranieri, con base nel Lazio, riuscivano a garantire la fornitura di ingenti quantitativi di stupefacente. Si conferma, altresì, la piena operatività nel mercato della droga del
clan CAPPELLO-BONACCORSI, attivo con numerosi affiliati in fiorenti piazze di spaccio di Catania, che in alcune occasioni si sarebbero addirittura avvalsi, per il trasporto dello stupefacente, delle ambulanze di una onlus del posto. Per quanto riguarda l’approvvigionamento di cocaina, le consorterie continuano a mantenere solidi rapporti con i
clan calabresi e campani.

Non viene, inoltre, trascurata la pratica dell’usura e delle estorsioni che rappresentano, per cosa nostra, la forma più diretta e capillare per tenere salde le redini del territorio, come dimostrano alcune recenti operazioni condotte a carico di esponenti delle famiglie mafiose dei MAZZEI e dei SANTAPAOLA-ERCOLANO. Tra queste, vale la pena di richiamare l’operazione “Nuova Famiglia” che, nel fare luce su un articolato sistema associativo finalizzato alle estorsioni, ha permesso di ricostruire il nuovo organigramma della consorteria mafiosa dei
MAZZEI, individuando compiti e responsabilità dei “reggenti” della
famiglia e delineando i rapporti di gerarchia tra i diversi appartenenti al clan. Con la stessa logica pervasiva viene praticata l’usura, che rappresenta uno dei maggiori canali di riciclaggio e finanziamento, ponendosi spesso in stretta connessione con il fenomeno estorsivo.
Quanto all’interesse di cosa nostra nell’influenzare la gestione e l’amministrazione dei vari Enti locali, vale la pena di richiamare la relazione dal titolo “Il Comune di Catania e la presenza di amministratori con rapporti di parentela con soggetti condannati per mafia”, predisposta dalla “Commissione d’inchiesta e vigilanza sul fenomeno della mafia in Sicilia dell’Assemblea Regionale Siciliana.

La Commissione, che ha valutato, in ragione dei poteri attribuiti, le posizioni dei singoli consiglieri da un punto di vista esclusivamente politico, ha evidenziato, nelle parti conclusive del documento – comunque partecipato alla “Commissione Parlamentare Antimafia” – che “ciò che l’odierna indagine ha disvelato è altresì la debolezza con cui la politica riesce a formare anticorpi rispetto alla possibilità che soggetti di dubbia moralità possano incunearsi nei partiti e, quindi, nelle assemblee rappresentative”.
Non sono infine mancati episodi di danneggiamento, ai danni di amministratori locali, che potrebbero essere interpretati come tentativi, da parte della criminalità organizzata, di condizionare l’operato della Pubblica Amministrazione.

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