IL BELICE RICORDA IL TERREMOTO, 56 ANNI DOPO

Il 14 gennaio del 1968, una serie di forti scosse sismiche colpì diverse località in Sicilia, causando gravi danni nel Belice e lasciando un segno indelebile nella storia della regione. La prima scossa, avvertita alle ore 13:28 locali, provocò danni significativi a Montevago, Gibellina, Salaparuta e Poggioreale, seguita da un’altra alle 14:15. Queste località furono nuovamente colpite da una terza scossa alle 16:48, causando danni estesi anche a Gibellina, Menfi, Partanna, Salemi, Santa Margherita di Belice, Santa Ninfa e Vita.

Il 15 gennaio, alle ore 02:33, un’altra violenta scossa causò danni gravi fino a Pantelleria. Tuttavia, la scossa più devastante si verificò alle ore 03:01, causando effetti disastrosi. Seguirono altre 16 scosse. Le vittime ufficialmente accertate variarono secondo diverse fonti, con stime complessive di 231 a oltre 600 feriti. Alcuni rapporti indicano 296 vittime, mentre altri parlano addirittura di 370 morti, circa 1.000 feriti e 70.000 sfollati.

Il 25 gennaio, una fortissima scossa alle ore 10:56 fece crollare completamente i pochi muri ancora in piedi, causando anche vittime tra i soccorritori. Dopo questo evento, le autorità vietarono l’accesso alle rovine di Gibellina, Montevago e Salaparuta.

Complessivamente, furono registrate strumentalmente 345 scosse, di cui 81 con una magnitudo pari o superiore a 3, nel periodo compreso tra il 14 gennaio e il 1º settembre 1968.

Il terremoto del Belice del 1968 è stato una delle più gravi catastrofi sismiche che abbiano colpito l’Italia nel XX secolo.

IL RICORDO

Il terremoto? Difficile descriverlo, si vive e ti cambia la vita”.

Gaetano Santangelo, 88 anni, è uno dei testimoni che ancora oggi può raccontare il sisma che la notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968, colpì la Valle del Belìce.

Originario di Salaparuta, negli anni ’60 è stato l’unico portalettere del paese: “Iniziai a lavorare nel luglio 1961 prendendo il posto di mio padre – racconta all’ANSA – a Salaparuta, per via delle salite, era difficile utilizzare la bicicletta, quindi a piedi ogni giorno percorrevo 13 chilometri”.

A 56 anni dal terremoto che devastò i paesi di tre province – Trapani, Agrigento e Palermo – Gaetano Santangelo racconta oggi con lucidità quei momenti vissuti quando aveva 32 anni: “quel giorno era domenica come oggi – dice – la prima scossa delle ore 13 l’avvertii mentre mi trovavo in campagna a fare la legna. Non pensavo fosse terremoto, solo arrivando a casa ho trovato la famiglia preoccupata. La seconda scossa nella notte, uscimmo fuori mentre ancora tutto tremava. C’era la neve e ci rifugiammo nella casa di campagna. Intorno solo morti e macerie”.

Le baracche sono state i luoghi della speranza per i cittadini del Belìce che non avevano più le case. “Dovevamo stare poco, ci fu detto – racconta Gaetano Santangelo – ma, invece, ci abbiamo abitato per 16 anni, crescendo i figli in ambienti stretti e angusti. Però è nelle baracche che abbiamo riscoperto la solidarietà dello stare insieme, tra persone accomunate dallo stesso destino”.

Nel nuovo centro di Salaparuta Gaetano Santangelo si è trasferito con la sua famiglia nel 1982. Strade ampie, assetti urbani disegnati a Roma e tradotti sul territorio. “Qui la vita sociale è cambiata – ammette l’anziano – perché la distanza fisica tra una cosa e l’altra ha posto una trasformazione delle relazioni. Oggi parlare di ricostruzione a 56 anni dal sisma è una cosa ingiusta – ammette – è tempo di chiuderla per non mortificare ancora noi abitanti di questo territorio”.