95047.it Paternò: la polveriera della mafia catanese. Arriva una nuova conferma dall’ultima relazione della Direzione Investigativa Antimafia e del Viminale presentata al Parlamento un mese fa. L’analisi fotografa l’ultimo semestre 2014 e il triangolo attorno al Castello Normano con Adrano e Biancavilla continua a essere una roccaforte criminale dove i clan mafiosi vivono forti tensioni interne e vere guerre di potere. In lizza c’è il ruolo di reggente del cosiddetto “triangolo della morte”.
“Il fenomeno criminale nella provincia di Catania – scrive la Dia – nel semestre in esame, non risulta caratterizzato da tratti innovativi. La famiglia di Cosa nostra catanese e gli altri sodalizi mafiosi, seppur colpiti da ulteriori operazioni di polizia, continuano a gestire i propri affari in maniera silenziosa, fatta eccezione – si legge nella relazione – per la zona comprendente i comuni di Paternò, Adrano e Biancavilla, dove permane una situazione di forte fibrillazione, a seguito di una conflittualità interna al clan Toscano Mazzaglia che ha recentemente determinato una serie di omicidi”.
Un ritorno agli anni ’90. E’ questo il clima che si è respirato per mesi nei tre paesi etnei. Dalle indagini sono emerse agghiaccianti piani delittuosi: gruppi di fuoco pronti a uccidere e a eseguire ordini provenienti direttamente dal carcere. Una strategia criminale completamente differente a quella della mafia catanese che agisce sotto traccia per evitare di fare alzare le antenne delle forze dell’ordine e firma “accordi” tra clan per accrescere le casse di denaro sporco. Una condotta silenziosa che viene mantenuta anche dopo blitz e retate che sventrano i nuclei di vertice delle cosche. Senza scalpore il gruppo riorganizza le file e scegli i capi militari e operativi.
Tutt’altro accadrebbe secondo la Dia a Paternò, dove la conquista del potere mafioso passa attraverso il fuoco delle armi. “In limitati casi una mutazione degli equilibri si è tradotta in azioni violente, comunque, confinate a ristretti ambiti territoriali, come si starebbe verificando – si legge (appunto) nella relazione – nell’area compresa tra i comuni di Paternò, Adrano e Biancavilla”.
Ma oltre a faide che scuotono gli equilibri delle consorterie allo scopo di costituire la nuova reggenza criminale di Paternò, i gruppi mafiosi stanno cercando di “infiltrarsi” nelle Istituzioni. La violenza e l’intimidazione ad alcuni sindaci sono il segno inequivocabile di questo tentativo. “Nel medesimo contesto territoriale – scrive la Dia – alcuni episodi di danneggiamento consumati ai danni di amministratori locali potrebbero essere letti come tentativi, da parte della criminalità organizzata, di inserirsi nella Pubblica Amministrazione anche per la gestione di appalti, e soprattutto, per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani”. Gli episodi a cui si fa riferimento sono i tre danneggiamenti avvenuti tra il dicembre 2013 e l’ottobre 2014: a questi seguirono gli atti incendiari nei confronti dei sindaci di Santa Maria di Licodia, Adrano e Biancavilla.
Una cosa però va detta, e lo evidenzia nella relazione anche la Dia, “l’escalation criminale e di violenza è stata limitata dalla costante attività investigativa”. Ma per cambiare le cose serve non bastano le azioni della polizia e le inchieste serve anche un’alzata di testa da parte dei cittadini. Desolante è stato infatti qualche mese fa ascoltare il procuratore facente funzioni di Catania, Michelangelo Patanè, che parlando di estorsioni ad Adrano evidenzio “come il muro di omertà nella città fosse ancora altissimo e le vittime di pizzo non avessero ancora la forza di denunciare”.